Resine epossidiche, guida e consigli pratici

Resine epossidiche, guida e consigli pratici

Concepite per l’utilizzo in campo industriale, le resine epossidiche trovano sempre più largo impiego nei lavori manuali. Si tratta di preparati costituiti da due fasi che, opportunamente miscelate, isolano le superfici previa colata o stesura con pennello su queste ultime.

La stabilizzazione del film si basa sul principio di catalizzazione a temperature al di sotto di quella ambiente (10-15°C, con innesco in 3 minuti circa). Il risultato finale è un effetto vetrificato con sottotono caldo, che tende ad accentuarsi con il passare del tempo.

Sono prodotti facili da usare, dal prezzo non eccessivo e alla portata di tutti, ma bisogna seguire alcune accortezze per trarre il meglio dalle loro caratteristiche. Di seguito ne approfondiremo la conoscenza e impareremo a usarli adeguatamente.

Resine epossidiche: istruzioni per l’uso

Come già anticipato, si compongono di due elementi, una resina propriamente detta e un indurente, da mescolare secondo un rapporto di miscelazione definito sul retro della confezione. Quello che bisogna fare, quindi, è un semplice calcolo basato sulle proporzioni.

Ad esempio, se il rapporto è 100: 50 e volessimo usare 150 g di resina, basterebbe moltiplicare questa quantità per il secondo termine e dividere il risultato per 100. In altre parole:

  • 150×50=7500 e poi 7500÷100= 75 g.

Una volta stabilite le dosi, occorre riscaldare le fasi fino a circa 40°C e amalgamarle almeno per un paio di minuti in un ambiente a bassa umidità, per ottenere uno strato compatto e senza increspature.

Tale operazione è gestibile manualmente o mediante un apposito miscelatore. Serve a conferire uniformità alla struttura e, di conseguenza, all’effetto sugli oggetti da trattare.

In seguito alla colata e al successivo termo-indurimento, bisogna attendere fino a 5 giorni per arrivare il livello massimo di resistenza meccanica. Non è indispensabile ricorrere a strumentazioni sofisticate per una verifica: l’obbiettivo è raggiunto quando lo strato non risulta più cedevole al tatto.

Alcuni consigli per ottimizzare la resa del prodotto

Dal momento che l’umidità è nemica delle resine epossidiche, è preferibile evitare l’applicazione nelle giornate di pioggia e durante la fascia oraria serale. Per lo stesso motivo, la superficie su cui effettuare la colata deve risultare perfettamente asciutta.

È possibile rendere più veloce il processo esponendo l’oggetto a una fonte di calore. Orientativamente, a un aumento della temperatura di 10°C corrisponde una riduzione dei tempi di catalisi di circa la metà rispetto a quella prevista per lo scaglione precedente. Più semplicemente, se la durata della reazione è di 4 ore a 15°C, per 25°C sarà di 2 ore, per 35°C di un’ora e così via.

Tutto ciò, però, è soggetto a una condizione. La colata non deve superare i 10 mm di spessore, per non andare incontro al cosiddetto “effetto massa”, dovuto al rallentamento del rilascio di energia termica.

Questo impedisce allo strato di raffreddarsi e genera irregolarità che penalizzano la qualità e l’impatto estetico del manufatto. Per ovviare a tale inconveniente, basta versare il prodotto a più riprese, secondo le modalità indicate in etichetta.

Ingiallimento, lucidatura e bolle d’aria

Prima o poi, le superfici assumono una colorazione diversa da quella della prima stesura, anche in presenza di filtri UV. Pertanto è meglio scegliere un prodotto a basso ingiallimento.

Naturalmente, è possibile ricorrere a manutenzioni periodiche di lucidatura, con uno dei metodi che seguono:

• 2-3 passate di spray con particelle in poliuretano o, in alternativa, in acrilico;
• stesura di resina epossidica allo stato viscoso, con un pennello;
• carta abrasiva, lucidatrice orbitale e polish, per i più esperti.

Seguendo correttamente tutta la procedura, il rischio di trovare aria intrappolata è ridotto al minimo. Nel caso in cui ciò accadesse, è indispensabile fare uso di un degassificatore per concludere il lavoro.